Messico, stagnazione in agguato

Il Messico si appresta ad affrontare una possibile stagnazione economica nella seconda metà del 2025, aggravata dalle incertezze politiche interne e dalla persistente instabilità causata dalla politica commerciale di Donald Trump nella prima parte dell’anno. La nomina di ministri e giudici vicini a Morena – il Movimento di Rigenerazione Nazionale, partito di governo fondato da Andrés Manuel López Obrador – insieme ai tagli alla spesa pubblica varati per contenere il deficit fiscale, rischia di rallentare ulteriormente la crescita economica del Paese.

Il quadro economico

Lo scorso 17 settembre, il team economico di Banamex (Banco Nacional de México) ha annunciato una crescita del PIL del 0,2% nel primo trimestre 2025.  In particolare lo 0,2% di crescita del PIL riflette la buona performance del settore agricolo, mentre i settori dei servizi e dell’industria hanno registrato una stagnazione, indicando una performance debole in queste aree. Consumi e investimenti si sono contratti e l’occupazione formale è rallentata. In sintesi, il quadro economico risulta incerto e problematico, caratterizzato da cali nella domanda aggregata e all’indebolimento del mercato del lavoro, che si riflettono in una previsione di stagnazione economica per 2025.

Il Fondo Monetario internazionale nel suo report rilasciato la settimana scorsa prevede che la crescita economica del Messico continuerà a rallentare nel 2025, prima di riprendere leggermente l’anno prossimo, avvertendo che sono necessarie misure fiscali e strutturali per garantire la stabilità economica a lungo termine. Le prospettive per la seconda economia più grande dell’America Latina sono offuscate da tensioni commerciali, lacune infrastrutturali e vulnerabilità fiscali. Il FMI ha osservato che i rischi per la stabilità finanziaria del Paese sembrano essere bassi e che le prospettive economiche potrebbero migliorare se la domanda statunitense fosse più forte del previsto e se il Messico ottenesse una revisione favorevole del suo patto commerciale con gli Stati Uniti e il Canada. Il FMI prevede che il PIL crescerà dell’1,0% quest’anno, dall’1,4% del 2024, per poi raggiungere l’1,5% nel 2026, sebbene l’effetto dei dazi e dell’incertezza commerciale continuerà a farsi sentire. L’inflazione complessiva sta rallentando e dovrebbe convergere verso l’obiettivo del 3% nella seconda metà del 2026. ll rapporto debito pubblico lordo/PIL del Messico potrebbe salire al 61,5% entro il 2030, con le attuali politiche. Saranno quindi necessarie ulteriori riduzioni del deficit e misure politiche per prevenire ulteriori rialzi del debito pubblico e creare spazio fiscale per rispondere a possibili shock.

Le raccomandazioni di FMI

Il FMI raccomanda al Messico di puntare a un deficit fiscale del 2,5% entro il 2027 e di adottare misure per migliorare la credibilità fiscale. Il sistema bancario messicano rimane comunque solido. Le banche continuano a godere di sufficienti posizioni di capitale e liquidità. Gli stress test indicano che le banche possono resistere a un brusco rallentamento economico, paragonabile a episodi gravi verificatisi negli ultimi due decenni, e l’esposizione bancaria alle imprese esportatrici appare bassa. La leva finanziaria di imprese e famiglie è bassa e non vi sono segnali di valutazioni tese degli asset. Il tasso di cambio dovrebbe continuare a fungere da ammortizzatore. Il peso è sostenuto da solidi buffer esterni e da una posizione esterna sostanzialmente in linea con i fondamentali. La flessibilità continua sarà fondamentale in questo contesto esterno altamente incerto. Secondo il FMI il successo economico a lungo termine del Messico dipenderà dalla riduzione delle lacune infrastrutturali, dal rafforzamento dello stato di diritto e all’approfondimento dell’integrazione con i partner commerciali globali.

Le conseguenze dei dazi USA

Il mercato statunitense è il mercato più importante per il Messico, rappresentando la destinazione di oltre l’80% delle esportazioni globali del paese.

Nel mese di luglio gli USA avevano concesso un periodo di negoziazione di 90 giorni per raggiungere un accordo più ampio sulle questioni commerciali e di confine, impedendo che l’aliquota tariffaria aumentasse al 30%. Durante questo periodo, le tariffe su alcuni beni come rame e alluminio sono rimaste al 50%, mentre i prodotti automobilistici sono stati soggetti a una tariffa del 25%. 
Da settembre scorso, gli Stati Uniti hanno imposto tariffe sulle importazioni dal Messico, con un’aliquota del 25% sulla maggior parte dei beni, sebbene alcune esenzioni siano state concesse nell’ambito di un accordo temporaneo per garantire un accordo più ampio, volto a prevenire ulteriori aumenti tariffari e a migliorare la sicurezza delle frontiere. Gli Stati Uniti impongono inoltre una tariffa base inferiore del 15% sulle importazioni da altri paesi, creando un contesto commerciale disomogeneo. Il presidente Trump ha collegato i dazi alla necessità del Messico di intensificare gli sforzi contro il traffico di droga, in particolare il fentanyl, e di controllare l’immigrazione illegale. I dazi vengono utilizzati anche per ridurre il significativo deficit commerciale degli Stati Uniti con il Messico e incoraggiare la produzione manifatturiera nazionale.  

La risposte a Trump

Il Messico ha reagito imponendo dazi di ritorsione su molti prodotti statunitensi (es: acciaio piatto, articoli deperibili, carne di maiale, salsicce, mele e alcuni formaggi). Il Messico ha indicato che queste tariffe rimarranno in vigore finché gli Stati Uniti non elimineranno quelle imposte sui prodotti messicani.
Le attuali tensioni commerciali creano notevole incertezza per le aziende coinvolte negli scambi commerciali tra i due Paesi. 
L’accordo in vigore di libero scambio United States–Mexico–Canada Agreement (USMCA) è in attesa di rinegoziazione e Trump ha cercato quindi di sfruttare i dazi per raggiungere un accordo più favorevole per gli Stati Uniti. 
In tale clima di incertezza alla fine di agosto, il servizio postale messicano ha temporaneamente sospeso le spedizioni di pacchi verso gli Stati Uniti, adducendo come motivazione l’imminente fine del periodo di esenzione tariffaria. 

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