Le regioni svizzere sono colpite in modo diverso. In alcuni cantoni romandi, fino al 30% degli occupati lavora nell’industria tecnologica e orologiera. In queste aree, così come in altri cantoni, la quota di esportazioni verso gli Stati Uniti è particolarmente elevata. Poiché molte aziende si aspettavano l’introduzione delle tariffe, hanno anticipato le esportazioni, accumulando scorte oltreoceano. È quindi ancora troppo presto per avere un quadro preciso. Attualmente, il tasso di disoccupazione è al 2,7%, uno dei valori più bassi degli ultimi vent’anni. La Seco ipotizza tuttavia un aumento moderato, prevedendo che la percentuale si attesti tra il 3% e il 3,5% entro il 2026.
Lavoro ridotto come soluzione
Per contrastare la perdita di posti di lavoro, il Governo intende estendere lo strumento del lavoro ridotto, già sperimentato con successo durante la pandemia del Covid-19. Con questo sistema l’orario viene ridotto e lo Stato copre la parte di salario mancante, con l’obiettivo di salvaguardare l’occupazione. Alle problematiche congiunturali si aggiunge, però, il fattore più pesante: l’incertezza legata alle politiche daziarie imposte da Trump.
Il peso degli Stati Uniti
Il mercato statunitense, pur non essendo il principale sbocco dell’economia elvetica, rimane tra le destinazioni più rilevanti dell’export svizzero (esclusi oro, metalli preziosi, monete, pietre preziose e opere d’arte):
- Stati Uniti: 18,6%
- Unione Europea: 51,0%
- Regno Unito: 3,0%
- Cina: 5,7%
- Giappone: 2,9%
- Resto del mondo: 18,8%
Una bilancia commerciale equilibrata
La bilancia commerciale tra Svizzera e Stati Uniti risulta relativamente bilanciata. Gli USA presentano un’eccedenza nei servizi, mentre la Svizzera registra un surplus nell’export di beni. Questo saldo positivo, tuttavia, non deriva da pratiche sleali: la Confederazione ha infatti abolito tutti i dazi industriali dal 1° gennaio 2024, consentendo che il 99,3% dei beni USA entri nel Paese in esenzione doganale.
Secondo le stime, le aziende svizzere rischiano un calo di 9,5 miliardi di dollari di fatturato e di 4 miliardi di utile, soprattutto nei settori ad alto valore aggiunto, con esportazioni verso gli Stati Uniti ridotte fino a un quarto. Il prestigioso KOF del Politecnico di Zurigo prevede una contrazione del PIL compresa tra lo 0,3% e lo 0,6% annuo, o anche di più se i farmaceutici – al momento esenti – dovessero essere inclusi nei dazi futuri.
Più colpita dell’UE
La Svizzera risulta penalizzata molto più duramente rispetto all’Unione Europea. Le catene di approvvigionamento internazionali nei settori interessati subirebbero interruzioni significative, con effetti di “secondo livello” che potrebbero far aumentare le perdite fino allo 0,6% del PIL.
Il Governo elvetico ha dichiarato di voler negoziare dazi più bassi. Tra le ipotesi: rinunciare alla digital tax del 15% sulle multinazionali tecnologiche statunitensi, una concessione significativa a favore delle richieste di Trump. Tuttavia, rispetto all’UE, la Svizzera dispone di margini di manovra limitati: conta 9 milioni di abitanti e un mercato interno poco appetibile per le imprese americane.
La carta degli investimenti
Un punto di forza per la Confederazione è il suo ruolo di sesto investitore straniero negli USA. Le aziende svizzere sono presenti in numerosi Stati americani e generano occupazione qualificata e ben retribuita. Un eventuale disimpegno degli investitori elvetici, se il contesto peggiorasse, colpirebbe settori sensibili dell’economia statunitense.
La Seco punta a rafforzare la strategia di diversificazione attraverso nuovi accordi commerciali, colonna portante della politica economica estera. Nel medio termine, questo approccio potrebbe ridurre la dipendenza dal mercato americano. È già stata esclusa, invece, l’introduzione di contro tariffe di ritorsione.
Il risiko con la farmaceutica e l’oro
I due settori esclusi dai dazi – farmaceutica e oro – sono oggi al centro di ampie discussioni. Per Trump rappresentano leve strategiche: in campagna elettorale ha promesso di abbassare i prezzi dei farmaci e intende farlo esercitando pressione sulle aziende svizzere.
I prodotti delle grandi imprese farmaceutiche elvetiche non sono soggetti a dazi, ma le aziende subiscono forti pressioni politiche e mediatiche affinché trasferiscano la produzione negli Stati Uniti. Sebbene i prezzi dei farmaci siano fissati dal mercato statunitense, una delocalizzazione potrebbe influenzarli indirettamente, garantendo al contempo nuovi posti di lavoro in loco.
Il caso dell’oro
La situazione dell’oro è differente. La Svizzera ospita alcune delle più grandi raffinerie al mondo e il metallo prezioso pesa in maniera rilevante nelle statistiche commerciali, pur avendo un peso economico complessivo più limitato. La politica discute apertamente vari scenari per reindirizzare le esportazioni verso gli Stati Uniti, così da non aggravare ulteriormente il disavanzo commerciale elvetico.
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