Dopo la vigorosa ripresa economica successiva alla pandemia — con un aumento del PIL del 4,5% nel 2021 e del 3,1% nel 2022 — il Canada ha affrontato nel 2024 una fase di rallentamento. L’alta inflazione, causata principalmente dall’aumento dei prezzi alimentari e dai costi crescenti dell’immobiliare, ha inciso negativamente sulla crescita. A ciò si è aggiunto l’aumento della disoccupazione, che ha raggiunto il 7,1% ad agosto 2025, e una politica migratoria definita “indiscriminata” dalle forze politiche dell’opposizione. Il risultato è stato una crescita economica modesta: +1,3% del PIL, al di sotto degli standard canadesi.
In questo contesto già fragile, i dazi imposti dagli Stati Uniti a partire dal 1° marzo 2025 — e ribaditi il 1° agosto, tra rinvii e ripensamenti — hanno alimentato timori di una ricaduta negativa sulla congiuntura economica. Il neo eletto premier canadese, Mark Carney, ha cercato di aprire una trattativa con Washington, abolendo i “controdazi” precedentemente applicati in risposta alle misure statunitensi.
I dazi USA colpiscono duramente i settori chiave dell’economia canadese:
- Alluminio, acciaio e prodotti correlati: dazio del 50%
- Autoveicoli, parti e legname: dazio del 35%
- Energia idroelettrica: dazio del 10%
Queste misure minacciano direttamente la crescita e l’occupazione, generando preoccupazione tra imprese e analisti.
Da NAFTA a USMCA: una svolta voluta da Trump
Approvato dai tre capi di Stato nel luglio 2018, il nuovo accordo commerciale è entrato in vigore il 1° luglio 2020. Voluto principalmente da Donald Trump fin dall’inizio del suo primo mandato, l’USMCA (United States-Mexico-Canada Agreement) nasce per mantenere una promessa elettorale: rivedere in senso più favorevole agli Stati Uniti il precedente trattato NAFTA (North American Free Trade Agreement), in vigore dal 1994.
Il NAFTA aveva liberalizzato — con alcune limitazioni settoriali — i rapporti commerciali tra Stati Uniti, Canada e Messico, offrendo un’opportunità di integrazione soprattutto all’industria messicana, che all’epoca appariva lontana dagli standard produttivi degli altri due partner.
Il nuovo accordo amplia il proprio raggio d’azione includendo:
- Protezione della proprietà intellettuale
- Standard ambientali condivisi
- Salario minimo di 16 USD/ora per i lavoratori messicani impiegati da aziende di “paesi terzi” operanti in loco
Il Canada ha accettato di aprire le frontiere ai prodotti lattiero-caseari statunitensi, in cambio del mantenimento dell’esenzione dai dazi sull’industria automobilistica. Tuttavia, è stato introdotto l’obbligo che il 75% dei materiali e delle parti degli autoveicoli sia prodotto all’interno dei tre paesi firmatari. Una clausola proposta da Trump — che prevedeva il 50% del contenuto prodotto esclusivamente negli USA — non è stata accettata.
Merci “de minimis” e tensioni future
L’accordo ha inoltre aumentato il valore delle merci “de minimis” esentate da procedure doganali, facilitando le spedizioni transfrontaliere di piccoli quantitativi acquistati online — una misura che favorisce soprattutto le aziende statunitensi. Alla luce dei provvedimenti adottati nei mesi scorsi, l’atteggiamento di Donald Trump durante il negoziato per la modifica del NAFTA ha evidenziato una politica fortemente protezionistica. Questo fa presagire scenari poco favorevoli per il rinnovo dell’attuale trattato, i cui negoziati dovrebbero iniziare il prossimo anno.
Battuta d’arresto e ripresa nel secondo semestre
Secondo il rapporto della Royal Bank of Commerce pubblicato il 15 settembre scorso, sia il PIL canadese (-1%) che l’export verso gli Stati Uniti (-16%) hanno subito una battuta d’arresto immediatamente dopo l’applicazione dei dazi, nel secondo trimestre dell’anno in corso. Tuttavia, nel trimestre successivo si è registrata una ripresa.
Lo studio evidenzia che l’export totale verso gli USA nei primi sette mesi dell’anno è diminuito “soltanto” dell’8%. I settori più colpiti sono:
- Alluminio: –10%
- Acciaio e derivati: –25%
- Automotive: –14% (impatto più modesto del previsto, da monitorare nel medio periodo)
L’impatto delle tariffe è stato mitigato dal fatto che i dazi USA sono stati applicati esclusivamente a prodotti corrispondenti a voci doganali non incluse nel trattato commerciale USMCA (United States–Canada–Mexico Agreement). Inoltre, le tariffe hanno colpito solo il “contenuto non USA” dei singoli prodotti. Secondo la Royal Bank of Commerce, l’88% dei prodotti esportati non subisce l’effetto dei dazi o lo subisce in maniera limitata.
Una filiera binazionale: automotive e oltre
Considerando la storica e profonda integrazione tra molti settori produttivi di Canada e Stati Uniti — in particolare nella filiera dell’automotive, regolata dal “Canada-US Auto Pact” del 1965 — alcune produzioni, soprattutto nella componentistica, attraversano più volte la frontiera. Molti di questi prodotti presentano un “contenuto USA” superiore al 20%, evitando così l’applicazione dei dazi.
Questo meccanismo di esenzione non riguarda solo l’automotive, ma anche altre filiere ad alta intensità di acciaio e alluminio. Il calcolo del contenuto USA è complesso e tecnico, ma fondamentale per determinare l’applicabilità delle tariffe.
Verso il 2026: incertezza sul rinnovo del trattato USMCA
Resta aperta la domanda: si tratta di un fattore temporaneo destinato a cambiare nel lungo termine? Gli Stati Uniti imporranno modifiche restrittive al trattato USMCA, il cui rinnovo è previsto per il 2026?
La realtà industriale canadese è fortemente interconnessa con quella statunitense. In Canada operano impianti delle principali case automobilistiche USA (Ford, General Motors, Chrysler), giapponesi (Toyota, Honda) ed europee (Stellantis, Volkswagen, con il suo mega impianto di batterie elettriche in Ontario). A questi si aggiungono centinaia di produttori di parti e componenti in vari settori. Un’applicazione più stringente dei dazi metterebbe a rischio l’intera catena del valore, difficilmente ricostruibile in tempi brevi. I costi aumenterebbero anche per le aziende statunitensi, nonostante la vicinanza geografica tra i due Paesi, con possibili ricadute sull’occupazione nel settore.
Il reshoring: promessa o illusione?
Donald Trump, nelle sue dichiarazioni, sostiene di voler tutelare l’occupazione nel settore, probabilmente immaginando un massiccio “reshoring” degli investimenti dall’estero. Tuttavia, tale operazione appare tecnicamente impossibile nel breve periodo.
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