Franchising, l’anello mancante del Made in Italy

Per molti anni, forse troppi, l’export italiano di prodotti agroalimentari, di consumo personale e di moda ha pagato dazio alla mancanza di strutture distributive e commerciali italiane all’estero, capaci di garantire una forte e costante azione propulsiva sui mercati internazionali.
Per lungo tempo, infatti, si è lamentata l’assenza di catene alberghiere o di distribuzione commerciale di matrice italiana, in grado di conferire ai prodotti Made in Italy un ruolo di preminenza tra quelli consumati o distribuiti dai grandi operatori dell’hôtellerie, della ristorazione e della grande distribuzione.
Questo handicap ha rappresentato un fattore decisivo nel ritardo con cui molte categorie di prodotti italiani hanno affrontato i processi di penetrazione nei nuovi mercati, dove — per decenni — i prodotti di Paesi come Stati Uniti, Francia, Germania e Regno Unito hanno beneficiato di volumi rilevanti sin dalle prime fasi di crescita di quei specifici contesti.
Con il passare degli anni, i prodotti italiani si sono progressivamente affermati, consolidando numerose posizioni di leadership. Tuttavia, il dato inoppugnabile resta la lentezza della penetrazione italiana nei processi di ingresso nei mercati emergenti. E ciò vale tanto per i nuovi mercati dei Paesi dell’Est, dopo il crollo del blocco sovietico, quanto per i grandi mercati sviluppatisi negli ultimi decenni, come Cina, India e Paesi del Golfo.

L’handicap strutturale italiano

Tutti questi Paesi sono stati terreno di conquista per i grandi operatori della grande distribuzione, delle grandi catene alberghiere con annesse shopping arcade e delle grandi catene della ristorazione cosiddetta fast e non.
Attraverso questa molteplicità di operatori economici, alcuni Paesi — oltre a USA e Francia — hanno potuto cogliere inattesi e immediati successi, lasciando gli operatori italiani ai nastri di partenza. Anche Paesi come Svezia e Danimarca possono vantare un successo rilevante negli articoli per la casa e per l’uso quotidiano, grazie alla presenza di aziende che hanno costruito modelli distributivi su scala mondiale, utilizzando schemi riconducibili al contratto di franchising e alle sue innumerevoli varianti.
Per molte aziende, e in ultima analisi anche per molti Paesi, la realizzazione di modelli distributivi e di una presenza commerciale con reti fisiche diffuse ha costituito una formidabile ricetta per entrare nei mercati e consolidare una presenza stabile.
A favorire per decenni la penetrazione dei prodotti nei mercati, vecchi e nuovi, è stato il ricorso, da parte di gruppi più o meno grandi, a formule di partnership e collaborazione riconducibili in qualche modo al modello del franchising. Molto spesso, tuttavia, gruppi di matrice statunitense, francese, tedesca e britannica hanno combinato il franchising con investimenti diretti, con l’obiettivo di mantenere un ruolo di leadership nelle operazioni e nel loro successivo sviluppo.
Il ritardo accumulato dal sistema Italia nella creazione di grandi catene alberghiere capaci di operare all’estero, o di grandi catene distributive multisettoriali o specializzate, è stato causa e origine di performance export inferiori ai valori potenziali.

Un nuovo scenario globale a favore del Made in Italy

Nell’ultimo decennio — e con una forte accelerazione negli ultimi anni — lo scenario globale ha evidenziato profondi cambiamenti che stanno favorendo, e non di poco, una penetrazione più costante e diffusa del Made in Italy. Ciò è dovuto all’interesse crescente da parte degli operatori stranieri nell’adottare modelli operativi e commerciali di matrice italiana o riconducibili alla tradizione italiana.
Per diversi decenni, aziende statunitensi, francesi, tedesche, britanniche e giapponesi hanno veicolato considerevoli volumi di prodotti destinati alle catene del fast food, alle attività commerciali situate nelle aree aeroportuali sempre più ampie, e alle grandi catene alberghiere presenti sia nelle metropoli iconiche sia nei più remoti e incantevoli angoli del pianeta, al servizio di uomini d’affari, viaggiatori e turisti.
Modelli contrattuali riconducibili al franchising si sono rivelati ottimali per costruire queste gigantesche ragnatele che coprono molti aspetti della vita economica globale e della quotidianità di miliardi di consumatori.

Nuovi modelli italiani nell’era dell’internazionalizzazione

La marcia congiunta della globalizzazione dei mercati e dell’internazionalizzazione delle imprese, nonostante le criticità recenti, ha consentito a numerose imprese italiane di adottare nuovi modelli di penetrazione e presenza nei mercati più disparati, dove persistono enormi potenziali ancora da esplorare. Oltre alle centinaia di aziende ormai iconiche e presenti in molti Paesi, migliaia di operatori italiani della ristorazione, del commercio e della distribuzione si sono trasferiti all’estero, contribuendo alla creazione spontanea di una vasta rete di punti di consumo e vendita di prodotti Made in Italy. In certi Paesi, tale rete assicura i più rilevanti volumi dell’export italiano.

Franchising come leva per le PMI italiane

La formula del franchising, efficace anche in contesti di difficile operatività, ha conquistato piccoli e medi imprenditori italiani. Questi si sono dimostrati sempre più intraprendenti, acculturati sul marketing internazionale, aperti alla consulenza specializzata e desiderosi di emulare i modelli di successo stranieri — e italiani. Un numero crescente di imprenditori di matrice italiana ha stabilizzato la propria presenza all’estero, anche su scala ridotta, attraverso ristoranti unici o micro-catene, alberghi, store alimentari, bar, caffè, pizzerie, negozi di moda e del lifestyle italiano.

Digitale e turismo: acceleratori di visibilità

I nuovi mezzi di comunicazione digitale, i canali social e il boom del turismo straniero in Italia hanno contribuito alla popolarità di numerose strutture commerciali della tradizione italiana, come gelaterie, pizzerie-pinserie, ristoranti autentici, gioiellerie, negozi di lusso, sartorie artigianali e persino barberie e saloni da parrucchiere. Pur registrando una crescente attenzione da parte dell’imprenditoria italiana verso il franchising all’estero, sono stati soprattutto gli investitori stranieri ad esercitare una spinta decisiva, attirando i partner italiani nei propri mercati attraverso diversi modelli di collaborazione.
Il successo, a volte nato semplicemente dai social, di alcune strutture commerciali italiane ha attirato l’interesse di investitori esteri. Questi hanno riconosciuto in quei modelli di business un’alternativa valida ai marchi storici di USA, Francia o Regno Unito.
Oggi, format tradizionali o ideati da imprenditori italiani innovativi vengono considerati perfettamente in linea con i gusti dei consumatori e capaci di offrire ritorni interessanti agli investitori, mentre molte attività imprenditoriali con storie pluridecennali, che si vedono invitate ad espandersi all’estero, anche in presenza di partner qualificati, faticano a costruire reti strutturate.

 

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