Comunicatori nell’Inpgi? Inutile, dannoso per l’erario e anticostituzionale

Intervista di Gianluca Vacchio di AdGInforma a Rita Palumbo.

Il giornalismo, mestiere con un livello di credibilità ai minimi storici, è una professione al collasso; l’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti (Inpgi) – con una previsione di bilancio 2020 in passivo di 253 milioni – è un istituto in dissesto. Come uscirne? Parte del mondo del giornalismo – ma l’idea è accarezzata anche dal sottosegretario all’Editoria Andrea Martella – guarda al comparto della comunicazione come ad una vera e propria panacea. AdgInforma.it ne ha parlato con Rita Palumbo, che ha risposto in una doppia veste: Segretario generale Ferpi, Federazione italiana relazioni pubbliche che ha appena compiuto 50 anni; e come ideatore e coordinatore di ReteCom, l’insieme delle associazioni della comunicazione e il management, che ha al suo interno, oltre a Ferpi, anche Cida (Confederazione italiana dirigenti e alte professionalità), Confassociazioni (Confederazione associazioni professionali), Ascai (Associazione per lo sviluppo della comunicazione aziendale), Una (Aziende della comunicazione unite), Iaa Italy (International advertising association chapter Italy) e Com&Tec (Associazione italiana per la comunicazione tecnica).

Qual è la vostra stima sul numero dei comunicatori in Italia? “Coinvolgendo nel nostro mondo anche tutti coloro che fanno comunicazione digitale – quindi ad esempio i web designer, media social manager e quant’altro – superiamo le 350 mila unità”, ha esordito Palumbo.

Un esercito… ma tutti questi professionisti non sono iscritti ad un albo professionale? “Assolutamente no. Per fare il comunicatore non c’è bisogno di essere iscritti all’Ordine dei giornalisti e non c’è correlazione col mondo del giornalismo. La comunicazione è un mestiere profondamente diverso dall’informazione. Si inseguono obiettivi e scopi diversi. L’informazione, regolata tra l’altro dall’articolo 21 della Costituzione, rispetta regole per informare liberamente e correttamente i cittadini. La comunicazione, invece, è un asset strategico di attività e strumenti per comunicare all’esterno interessi di parte”.

È chiaro, sono due mestieri diversi. Ma perché non unire le platee? “I due mestieri non devono essere confusi. Unire le platee – ha allargato le braccia il Segretario Ferpi – andrebbe ad inquinare entrambe le professioni”. Insomma, i comunicatori sono contrari a pagare i contributi all’Inpgi? “I comunicatori si augurano che l’istituto dei giornalisti si salvi – ha chiarito Palumbo – ma non possiamo essere noi a salvarlo”. Perché? “Per due motivi. Come ho detto sono due professioni distinte. Inoltre non esiste un contratto di lavoro di riferimento, i professionisti che svolgono le mansioni nell’ambito della comunicazione hanno il CCNL di settore. Gli interlocutori non saremmo noi, ma i Sindacati, Confcommercio e Confindustria. L’istituto di previdenza dei giornalisti ha una voragine di bilancio nella Cassa Inpgi 1, ovvero quella dei dipendenti. Quindi la partita è non solo con chi allargare la platea dei contribuenti, ma come e con quale contratto”.

Chiaro, due mestieri diversi, regolati da leggi e contatti diversi. Metterli insieme è una stupidaggine. “Esatto, ma ammesso e non concesso che si trovasse un’alchimia normativa e tutti i comunicatori delle grande imprese passassero all’Inpgi, sarebbero comunque troppo pochi – ha aggiunto Palumbo -. Anche se riuscissero a deportare i nostri contributi da Inps a Inpgi, non si colmerebbe quella voragine. Questo è il nodo centrale”.

Un terzo motivo per non procedere, insomma. Eppure 350 mila nuovi contribuenti non sono affatto pochi. “Il mondo della comunicazione è caratterizzato in maggioranza da liberi professionisti e Partite Iva, non sono assunti a tempo indeterminato. Senza contare che molti dei dirigenti assunti, spesso cambiano settore e passano dalla comunicazione ad altri comparti con altre funzioni, rimandando a quel livello contrattuale indicato nel CCNL di settore. Che si fa in quei casi? Chi sceglie chi dovrà contribuire all’INPGI 1 e non più all’Inps?”

Eppure molti giornalisti sono diventati comunicatori. E fanno un ottimo lavoro. “C’è un nodo da sciogliere insieme, e riguarda l’attività di ufficio stampa. Nella scienza della comunicazione di natura anglosassone – ha spiegato la Palumbo – l’ufficio stampa di un’azienda ha come stakeholder i giornalisti. Nella crisi che sta vivendo il nobile mestiere del giornalismo, in molti si dedicano nell’unico ambito della comunicazione in cui possono mettere a fattore le proprie competenza. Ma è una stortura del sistema”.

Ma allora cosa bisognerebbe fare? “Martella – ha suggerito il Segretario Ferpi – deve intervenire sulle aziende editoriali, deve salvare le imprese, stanziare fondi dedicati, cristallizzare le società e creare occupazione giornalistica stabile. Pensare di mettere questa toppa fa male ai giornalisti e ai comunicatori. Martella deve difendere la professione dei giornalisti non inquinarla. E la salvezza della previdenza dei giornalisti passa dalla salvaguardia dei loro posti di lavoro”.

Eppure Martella, e non solo, sembra deciso a procedere sull’allargamento della platea contributiva dell’Ingi con i comunicatori. Ne avete parlato? E cosa ci dobbiamo aspettare da parte vostra? “Certo che ne abbiamo parlato con il Sottosegretario Martella e in quella occasione sull’argomento mi è sembrato facesse un po’ di confusione. Se si deciderà di procedere per legge, faremo una levata di scudi, anche perché sarebbe anticostituzionale. Senza contare che sarebbe un danno enorme per l’erario. Togliere la contribuzione all’Inps, già sotto pressione per le politiche assistenziali, a favore di un istituto di previdenza privato è un danno erariale – ha concluso la Palumbo – e un torto per migliaia di persone che non vogliono essere deportate in una cassa privata che non riguarda il loro lavoro”.

 

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