Sin dal primo istante in cui il mondo ha avuto notizia della vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane, si è tornato a parlare di dazi e super dazi. E gli strategist che si occupano di scambi internazionali e di sviluppo economico hanno disegnato una serie di previsioni negative.
La vittoria di Trump (la seconda nell’arco di un quinquennio) secondo gli analisti è stata determinata da una serie di fattori politici e sociali, largamente diversi da quelli che avevano determinato la prima vittoria. Ciò che accomuna le due vittorie è l’insistenza con la quale Trump e il suo staff hanno ribadito la necessità di realizzare il MAGA, MAKE AMERICA GREAT AGAIN (in italiano Rendiamo l’America di nuovo grande), ovvero praticare una politica di pesanti dazi nei confronti dei diversi partner, siano essi paesi come la Cina o paesi europei con cui gli americani condividono i principali pilastri della cosiddetta cultura dell’Occidente.
L’impatto delle politiche di dazi di Trump: un ritorno al passato?
Certamente sono in molti a sperare, anche negli USA, che la politica dei dazi venga applicata in maniera più razionale di quanto fosse stato fatto a partire del 2017 e soprattutto si spera che il combinato disposto delle politiche della cosiddetta deportazione – che verrebbe a privare il sistema produttivo della necessaria manodopera a buon mercato – e dell’applicazione di tassi su beni di prima necessità non faccia cadere in recessione l’economia USA.
Alcuni peraltro temono che già da soli i super dazi potrebbero iniettare fuoco all’interno di un’economia che pur performando bene in termini di crescita ha dovuto sostenere una lotta senza quartiere con un’inflazione che nelle aree metropolitane ha raggiunto picchi del 15%. E questo non solo come conseguenza del Covid, ma anche come conseguenza delle politiche di spesa che l’amministrazione Biden ha portato avanti per fronteggiare la possibile recessione.
I miliardi di spesa previsti dal Piano Biden attraverso Inflation Reduction Act, infatti, se da un lato hanno tenuto su alcuni settori dell’economia americana, dall’altro hanno fatto da carburante a una inflazione che solo da qualche mese sembra essere stata messa sotto controllo.
Da più parti, e soprattutto, in Europa, e ancora di più in Italia, si spera in un trattamento cosiddetto di favore da parte di Trump, ma gli specialisti dicono che è bene prepararsi piuttosto a politiche selettive basate non tanto sul paese fornitore quanto sui prodotti messi a disposizione del mercato USA.
La visione protezionistica: le strategie del MAGA
A incidere fortemente sulle politiche protezionistiche saranno le aspettative che l’amministrazione Trump ha di riprendere il controllo produttivo in alcuni settori ritenuti strategici per il Progetto MAGA, sperando che la politica di import substitution tentata già dall’amministrazione Biden venga a godere di una forte accelerazione con il rientro di alcune importanti filiere produttive, non solo nel settori relativi alla sicurezza e alla difesa del paese, ma anche in settori relativi alla sicurezza sociale.
Le politiche dei dazi costituiranno certamente un formidabile strumento dell’amministrazione Trump per affermare e consolidare la leadership in alcuni ambienti e settori dell’economia americana o in alcuni stati (come per esempio il Wisconsin, tornato a Trump e speranzoso di elevati dazi nei confronti dei formaggi italiani, francesi e spagnoli).
Ma alle politiche protezionistiche si affida quella parte dell’economia USA che ha visto una continua erosione delle proprie quote di mercato a causa dei prodotti cinesi e questo non solo con riferimento al mercato americano, ma anche ad altri mercati terzi.
Le nomine effettuate hanno dato coerenza agli annunci della campagna elettorale e sono pochi a pensare a una Trumpnomics che non sia fortemente caratterizzata da dazi che, però, questa volta potrebbero avere livelli più contenuti rispetto ai cosiddetti super dazi del primo round.
Un elemento di novità che potrebbe portare ad una maggiore, se così si può dire, ragionevolezza nell’applicazione dei dazi è dato dal numero rilevante di elettori di ceto medio o medio basso che hanno contribuito alla vittoria e che hanno lasciato, pur se momentaneamente, secondo gli analisti, il Partito democratico.
Come i dazi influenzeranno i settori strategici americani
Un’applicazione pesante delle politiche dei dazi nei confronti di alcuni paesi fornitori di beni che ormai sono entrati nella vita quotidiana dell’americano medio potrebbe risultare indigesta a milioni di consumatori soprattutto se non esistono prodotti locali capaci di sostituire il prodotto importato, che potrebbe far registrare una forte lievitazione di prezzi. Stiamo parlando non solo di prodotti per la casa o per la persona, di prodotti digitali o per la vita di ogni giorno, ma ci riferiamo a cibo e prodotti alimentari che tengono in vita e in maniera sostenibile economicamente milioni di attività di ristorazione e di intrattenimento, che creano milioni di posti di lavoro anche se non sempre stabili.
A manifestare in maniera forte le preoccupazioni per le nuove politiche protezionistiche attese, infatti, non è un caso che siano stati i grandi gruppi del retail e dell’ospitalità, questi ultimi impegnati in un gigantesco processo di modernizzazione per rilanciare il settore e portarlo al livello dei servizi della costa asiatica del Pacifico.
Il gruppo Walmart, assieme a molti altri, ha manifestato di temere che per rendere competitiva la macchina USA nei settori di consumo ed effettuare un largo processo di substitution dei beni importanti sarà necessario un intero quadriennio – che dovrà essere caratterizzato da investimenti mirati – per vedere il ritorno di prodotti made in USA nella vita quotidiana dei consumatori americani nella quantità vagheggiata dalla nuova amministrazione.
Se anche gli USA volessero spingere fortemente sulla leva del nazionalismo con campagne che evocano altri tempi per sostenere il Buy American non solo per gli acquisti della Pubblica amministrazione ma anche per quelli che riguardano abiti, cibo, arredo, auto, l’amministrazione Trump dovrà fare i conti con un consumatore USA sempre più internazionalizzato e globalizzato, che difficilmente rinuncerà a quei prodotti che anche negli USA denotano qualità della vita e stili di vita di paesi che nel corso degli ultimi decenni sono diventati dei modelli nel mangiare, nell’abitare, nel vestirsi, nell’utilizzo del tempo libero.
Lo slogan del Buy American ricorre costantemente nella politica commerciale degli USA e nel corso dei decenni ha generato risultati trascurabili a livello di modifiche nei comportamenti dei consumatori, mentre ha certamente assicurato alle casse dell’erario USA notevoli risorse oltreché forzare alcune categorie di fornitori esteri a localizzare la produzione nel territorio USA. Recentemente, per esempio, le misure della Bidenomics hanno mirato ad accelerare i processi di reshoring ma questi stentano ancora a manifestarsi nella quantità sperata.
L’impatto sulle esportazioni italiane: rischi e opportunità
A ritrovarsi come vasi di coccio in mezzo a vasi di ferro, come conseguenza delle misure protezionistiche che dovrebbero essere assunte, saranno alcuni importanti paesi europei, tra i quali ovviamente l’Italia, la Francia, la Germania, la Spagna.
Per questi paesi e non solo (si pensi alla Cina) le misure daziarie porterebbero a una inesorabile riduzione dei valori dell’export verso gli USA creando un negativo effetto domino su tutti gli scambi internazionali.
I prodotti cinesi ostacolati sul mercato USA si riverserebbero o nel mercato europeo o nei pochi mercati dove l’Europa può ancora vantare vantaggi competitivi, mentre i prodotti europei e italiani rimasti invenduti determinerebbero un crollo della produzione per evitare pesanti oneri da magazzino, riportando l’intero continente, ancora alle prese con l’invasione dell’Ucraina, in una situazione economica di difficilissima gestione.
Sono ormai passati alcuni decenni da quando l’economista Bela Belassa congiuntamente al suo collega Paul Samuelson formulò la teoria della ‘trade diversion’ come conseguenza della creazione di aree di libero scambio o dell’applicazione di dazi da parte di uno dei partner del commercio mondiale.
In quest’ultimo caso è evidente che i volumi di export che il Sistema Italia è riuscito a costruire sul mercato USA (oltre 70 miliardi di dollari di export e ben più di 40 miliardi di surplus commerciale) sono a forte rischio.
Tuttavia, se una lezione positiva può venirci dal passato, questa volta la lezione su come reagire può venire dal recente passato.
Gli specialisti della materia stanno già argomentando sulla necessità di procedere con una svalutazione del valore dell’euro: una misura che sa tanto di altri tempi nefasti per la lira soprattutto se si considera la forte dipendenza di tutto il sistema Europa dall’acquisto di beni dall’estero. Altri naturalmente pensano a misure di ritorsione, in una logica di “occhio per occhio” e “dente per dente” che comunque vedrebbe soccombere un bel po’ di paesi europei.
Dando per certo che Mr. Trump non procederà con negoziazioni USA -UE ma piuttosto con decisioni unilaterali, ai paesi “vasi di coccio” – ma soprattutto alle imprese di questa categoria di paesi – non resta che delineare una chiara e precisa strategia per il mercato USA partendo dal presupposto che per quelle che già sono presenti e consolidate non si può manifestare disimpegno e per quanti intendono sbarcarvi non possono essere certamente i dazi a far rinviare ogni possibile ingresso sul mercato.
I dazi del 2017, interpretati come misura che avrebbe caratterizzato il mercato per molti anni a venire frenarono lo sbarco di molte imprese italiane che al venir meno dei dazi si ritrovarono in forte ritardo rispetto a una economia USA che ha assicurato una costante crescita all’export italiano e di molti altri paesi.
Senza pretendere di profetizzare una possibile durata, per le imprese italiane che intendono operare sul mercato USA ancora una volta si pone la necessità di valutare l’opportunità dello sbarco alla luce delle caratteristiche del proprio prodotto e della propria azienda piuttosto che sulla base della percentuale di dazi che i loro prodotti andranno ad incontrare.
L’obiettivo deve essere quello di inserirsi in un mercato che per le sue caratteristiche presenta su scala mondiale il maggior numero di consumatori orientati positivamente verso il Made in Italy, educati al consumo di beni Made in Italy e questo con riferimento sia ai prodotti griffati che a quelli della cosiddetta qualità artigianale.
Le dinamiche del mercato, pur presentando con l’arrivo dei dazi uno scenario meno roseo rispetto agli anni appena trascorsi presentano non di meno interessanti opportunità.
Le politiche di modernizzazione delle infrastrutture del paese, pur se caratterizzate da una minore enfasi ambientalista sono improcrastinabili e per poter avere la tanto necessaria accelerazione dovranno necessariamente, almeno per un certo periodo, poter contare su apparecchiature e sistemi di importazione da integrare con quanto prodotto negli USA.
In questo settore verrà richiesto alle società straniere di localizzare la produzione e pertanto, il problema dei dazi si pone in maniera relativamente limitata.
La fornitura di beni d’investimento dall’Italia verso gli USA con la sola eccezione del biennio Covid è continuata a crescere negli anni e ancora oggi presenta notevoli opportunità.
Reshoring e Buy American: promesse e limiti
Il MAKE AMERICA GREAT AGAIN inevitabilmente dovrà scontare molti ritardi determinati dalle contraddizioni che emergeranno perché, se da un lato si tenderà a favorire il prodotto locale, dall’altro laddove questo non esistesse o non presentasse i richiesti standard non sarà possibile ritardare il ruolino di marcia per evitare il sorpasso da parte della Cina. Nel caso, per esempio, dei progetti spaziali sarà indispensabile poter contare sulle forniture europee perché un eventuale ostacolo di natura protezionistica rischierebbe di lasciare via libera alla Cina nella corsa alla Luna e anche a Marte.
Nel caso delle infrastrutture nel settore dei trasporti gli USA pagano un ritardo tecnologico che li legherà per diversi anni alla tecnologia straniera. E qui il gioco si riduce alla Cina o, in alternativa, all’Europa. La rete ferroviaria viene considerata dagli specialisti con un ritardo più che decennale sul piano tecnologico rispetto a quella europea per non parlare rispetto a quella cinese.
Il successo del MAGA passa attraverso una maggiore efficienza nel movimento di merci e persone nel grande continente americano dove però il treno veloce si identifica ancora con i vecchi intercity europei.
Tecnologia ed esperienza italiana hanno già trovato piccole nicchie nel mercato poiché non stiamo andando incontro a una fase di “accelerazione dei processi” quanto a una fase in cui la produzione di una buona parte di prodotti tecnologici europei o italiani verranno localizzati, mentre altri verranno forniti dal vecchio continente.
Aeroporti e stazioni ferroviarie necessitano di revamping e di una vasta rete di nuove strutture e anche su questo le opportunità non potranno essere uccise dai dazi.
Lo stesso processo di ammodernamento di cui necessitano le grandi strutture dell’ospitalità non potranno subire rallentamenti. Negli USA si svolgeranno nei prossimi anni due importanti eventi globali: le Olimpiadi a Los Angeles e i campionati mondiali di calcio. Per questi due eventi il paese ha bisogno di una totale rivisitazione dei suoi standard di ospitalità, trovandosi a confrontarsi con i paesi che recentemente hanno ospitato eventi similari.
La costante e continua crescita del settore arredo negli ultimi anni, pertanto, non dovrebbe subire forti rallentamenti a causa dei dazi.
I settori chiave per il Made in Italy negli USA
Ostacolare il prodotto italiano potrebbe significare tout court finire nelle mani dei fornitori cinesi mettendo a serio repentaglio la reputazione e la qualità di prestigiose catene alberghiere o immobiliari.
E lo stesso può dirsi certamente per il settore dei beni di abbigliamento o di tutto il cosiddetto comparto moda. Qui la crescita della penetrazione italiana non ha riguardato solamente i prodotti delle grandi griffe, ma anche i prodotti di quel peculiare tessuto produttivo costituito da centinaia di imprese artigianali che hanno saputo conquistare con la loro produzione di qualità le tasche e il cuore di milioni di consumatori USA non solo delle grandi metropoli ma anche di quelle città di provincia che negli ultimi anni si sono aperte al mondo.
Il boom del turismo americano che si registra in Italia da un paio di anni diventa così una garanzia capace di assicurare al prodotto italiano una elevata competitività anche in presenza di dazi, in quanto anche in questo caso l’alternativa non sarebbe un prodotto USA ma un prodotto cinese.
Agroalimentare e ristorazione
Ancora più interessante per certi aspetti si presenta la situazione del settore del food.
Ormai milioni e milioni di consumatori americani hanno introdotto nelle loro abitudini alimentari un vasto paniere di prodotti made in Italy che già oggi sono considerati prodotti di prima fascia, tra i più cari e pur tuttavia molto apprezzati e ricercati.
Come avvenuto nella tornata del 2017, potranno subire un certo rallentamento per effetto di notevoli aumenti nei prezzi al dettaglio ma in assenza di prodotti sostitutivi (la produzione locale per quanto apprezzata è ritenuta diversa e non in grado di soddisfare palati fidelizzati ai prodotti di fascia alta made in Italy) si troverebbero ad affrontare un momentaneo stallo.
Inoltre, il vasto processo di italianizzazione della ristorazione all’italiana sta portando molti gruppi della ristorazione ad adottare sempre più prodotti autentici italiani in sostituzione dei prodotti made in USA che per decenni hanno sostituito l’autentico prodotto proveniente dall’Italia,
A favorire ciò è senz’altro l’approccio adottato dalle aziende italiane che operano sul mercato con la loro costante e qualificata promozione, l’aggressiva politica promozionale del sistema Italia, ma anche la consapevolezza negli addetti ai lavori che l’esperienza del viaggio in Italia o il viaggio in Internet crea nei nuovi consumatori un bagaglio di esperienze e conoscenze tali da renderli ancora più esigenti delle precedenti generazioni.
L’importanza di una strategia italiana per affrontare i dazi
Si è consapevoli che non saranno rose e fiori ma le imprese italiane hanno strumenti per poter trasformare la possibile crisi in una grande opportunità.
Ignorare il mercato USA o ridurre l’impegno significherebbe consegnare a quelli che oggi sono la second choice o second option milioni di dollari di mercato con la triste prospettiva di non poter riconquistare le posizioni conquistate e abbandonate.
Il modello italiano: resistere con partnership e innovazione
Per resistere, le aziende dovranno modificare l’approccio ormai obsoleto di lavorare all’interno di un rapporto fornitore-acquirente.
Tale approccio dovrà lasciare il passo a uno basato piuttosto su un approccio di partnership in cui le due parti si ritrovano a lavorare congiuntamente nella definizione di una strategia di medio termine per fronteggiare dazi e altre difficoltà di mercato, condividendo e dividendo gli eventuali danni derivati dall’aumento dei prezzi sul mercato USA a causa dei dazi.
Il posizionamento del made in Italy negli USA è un fattore di competitività dal forte impatto.
I consumatori hanno dimostrato di saperlo apprezzare più di quanto avessero fatto una generazione fa.
Conclusioni: trasformare le sfide in opportunità per le imprese italiane
Non si tratta più di vendere e spingere singolarmente prodotti della tradizione italiana del vestire, dell’abitare, del mangiare, del tempo libero. Oggi la scommessa è sul resistere a queste misure ancora solamente anticipate giocando su due fattori che nel tempo sono diventati sempre più rilevanti: il modello produttivo italiano e lo stile di vita all’italiana.