Il racconto del lavoro che cambia

Rita Palumbo questa settimana, nella sua rubrica #MercatoLavoro pubblicata nel portale www.ferpi.it, ospita una riflessione di Luca Bizzarri, Direttore ufficio politiche giovanili della Provincia autonoma di Bolzano. Bizzarri ha partecipato  al gruppo di lavoro Ferpi “Comunicare le professioni intellettuali” al recente Festival delle Professioni di Trento. E da quel palcoscenico ha lanciato una sfida: le nuove  professioni hanno bisogno dei comunicatori per raccontare il cambiamento.

Il 4 ottobre, a Trento, si è svolta, con il patrocinio di Ferpi, la settima edizione del Festival delle Professioni, l’unico appuntamento italiano interamente dedicato al mondo dei professionisti. Il Gruppo Ferpi “Comunicare le professioni intellettuali”, forte dell’esperienza del percorso che ha portato la Federazione al riconoscimento tra le professioni non regolamentate, ha proposto un approfondimento dedicato al mondo del lavoro e a tutte le nuove professioni intellettuali che oggi nascono nel nome del cambiamento e della novità e che necessitano trovare, nella società, adeguati percorsi di legittimazione.

A Luca Bizzarri, Direttore Ufficio Politiche Giovanili della Provincia autonoma di Bolzano e co-direttore della collana New fabric (Pacini editore) abbiamo chiesto una riflessione di scenario e una valutazione dell’interessante percorso che ha visto individuare, tra le nuove professioni, alcuni tratti ricorrenti; una serie di “ricorrenze”, come le definisce, che dialogano fra di loro in maniera costante. Ai professionisti del mondo della comunicazione viene offerta l’opportunità e responsabilità di recepire questi aspetti e di raccontarli. “Perché è proprio attraverso la narrazione che si accredita nell’opinione pubblica l’idea che, qualora presenti, queste ricorrenze delimitano profili professionali che hanno il diritto a un riconoscimento”.

di Luca Bizzarri

Uno degli aspetti, certamente non secondari, rispetto al profondo mutamento del mercato del lavoro, cui abbiamo assistito in questo decennio e rispetto a una reazione di coraggio alla drammatica situazione di disoccupazione giovanile che ha colpito il Paese, riguarda la nascita di nuovi profili professionali, inaspettati e molte volte non riconosciuti a livello sociale.

L’antagonismo generazionale – che tradizionalmente contraddistingue il mondo del lavoro – è esploso in una galassia di professioni dai contorni sempre più indefiniti e dalle operatività più disparate. Risultato, quest’ultimo, dettato oltretutto dalla pervasività delle nuove tecnologie che hanno disintermediato l’approccio classico alla produzione industriale e desertificato gran parte dei luoghi di produzione costruiti negli anni Sessanta e Settanta ai margini delle città.

Da questo “Zabriskie Point” qualcosa si è mosso e continua a muoversi. Alla crisi si è risposto con la collaborazione e con attività mirate a rigenerare spazi e situazioni rimaste per molto tempo vittime di gestioni tradizionali, che hanno funzionato fintanto che le condizioni sociali e economiche reggevano.

La pubblica amministrazione non sempre ha reagito con prontezza al malcontento promuovendo nuovi modelli gestionali partecipativi e sostenibili e ha lasciato lo spazio a soluzioni creative che hanno generato nel tempo nuovi profili professionali. Tra queste troviamo professioni, anche tradizionali, che hanno dovuto reinventarsi per sopravvivere: penso alla grande quantità di architetti o di designer che si sono prestati con successo in questi ultimi anni alla realizzazione di progetti di rigenerazione urbana, dove accanto alle competenze formali proprie di interventi strutturali sui luoghi hanno sviluppato competenze di altro genere volte alla creazione e alla gestione di comunità attive. O ancora alle fondamentali figure dei community manager che oggi in Italia gestiscono i nuovi spazi del lavoro collaborativo (coworking) e che hanno dovuto fare sintesi nel loro mestieri di competenze anche molto distanti fra di loro che vanno dall’organizzazione delle comunità dei coworker alla capacità di individuare finanziamenti per la sostenibilità dell’impresa, dalle occasioni di scambio fra i professionisti al dialogo con le istituzioni. Oppure pensiamo alla categoria degli imprenditori culturali e creativi, che ancora oggi si battono per un riconoscimento di settore che li emancipi finalmente dall’idea che la cultura si fa solo a costo zero e che li doti di strumenti normativi, di azione e di tutela, per fare della cultura un’impresa di sviluppo del territorio che sia tale a pieno titolo.

Di questo e di tanto altro abbiamo cercato di dare conto in una felice pubblicazione uscita nel 2017 per la Pacini editore dal titolo “Leggere la rigenerazione urbana” che raccoglie storie di persone che facendo hanno trasformato il contesto di riferimento della propria comunità. Perché è solo attraverso il racconto che le nuove prospettive prendono forma. L’aver promosso un bando per la pubblicazione prima e aver successivamente portato in giro per l’Italia questi racconti ci ha permesso di incontrare molte realtà e individuare delle “ricorrenze” ovvero degli aspetti professionali, tradizionalmente non riconosciuti, che continuamente emergono nei diversi contesti e che non hanno alcuna pretesa di definire o di creare categorie ordinistiche. Abbiamo preferito un approccio alle pratiche in senso stretto, piuttosto che alle competenze, perché siamo convinti che solo così possono essere scoperte e individuate le nuove direzioni emergenti e solo attraverso il racconto con il tempo queste visioni possono essere accreditate e riconosciute.

E allora entriamo nel dettaglio di queste “ricorrenze”:

  • il progetto di vita spesso coincide con il progetto professionale. Si tratta di professioni che spesso si definiscono partendo da visioni sulla propria vita o del rapporto che si vorrebbe instaurare con il contesto di riferimento. Pensiamo alle molte esperienze di cohousing che si registrano in Italia, alla necessità di organizzare delle comunità che per quanto amicali, hanno bisogno di una gestione puntuale delle convivenza e dei momenti di comunità;
  • l’interesse per il locale. Anche in questo caso prevale il lavoro sulle piccole dimensioni, sulla riattivazione dei piccoli borghi o delle comunità periferiche rispetto ai grandi centri urbani. L’interesse per la dimensione ”iperlocale” come direbbe Ezio Manzini;
  • la coincidenza dell’interesse individuale con l’interesse generale. I nuovi profili professionali rispondono generalmente a bisogni comunitari o che comunque riguardano un gruppo ampio di persone. Il proprio interesse individuale ha una visione ampia e pone grande attenzione all’impatto sociale delle proprie azioni;
  • il rapporto con la pubblica amministrazione. Sono profili altamente specializzati che dialogano efficacemente con diversi livelli della società e fra questi con gli enti pubblici ma non si pongono in contrasto con questi, anzi hanno grande capacità di messa in rete degli interessi di tutti. Ecco perché molto spesso si parla di ecosistema, intendendo con questo la messa in dialogo di tutte le parti della società. In questo senso molto ha fatto l’adozione in molti comuni italiani dei patti di collaborazione regolati da Regolamenti sulla collaborazione fra cittadini per la cura e la rigenerazione dei beni comuni.

Evidentemente questi aspetti dialogano fra di loro in maniera costante e necessitano di persone che siano capaci di raccontare il fenomeno cui stiamo assistendo. Ecco perché le professioni che fanno del racconto e della comunicazione il loro obiettivo principale hanno il dovere di recepire questi aspetti ricorrenti e di raccontarli. Perché è proprio attraverso la narrazione che si accredita nell’opinione pubblica l’idea che, qualora presenti, queste ricorrenze delimitano profili professionali che hanno il diritto a un riconoscimento da parte di quei sistemi istituzionali che tradizionalmente sono assunti come legittimanti.

www.ferpi.it

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