Il 3 settembre 1981 entrava in vigore la convinzione ONU sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro la donna. La cosiddetta CEDAW, contiene i principali diritti civili, politici, sociali, economici e culturali, declinandoli al femminile.
A livello internazionale era stato riscontrato che l’assenza di una specifica menzione delle donne nell’attribuzione di determinati diritti umani era troppo spesso equivalsa alla loro mancata concessione. E se in Italia il voto attivo e passivo è un diritto scontato per le donne della nostra generazione, così come l’accesso alle professioni, agli incarichi e agli uffici pubblici, solo recentemente altre riforme hanno determinato il possibile accesso delle donne nell’arma e inciso ancor più significativamente sul diritto di famiglia, ad esempio garantendo il congedo di paternità in alternativa a quello di maternità.
Eppure l’Italia non sembra avere le carte in regola sull’eliminazione della disparità uomo-donna. Una discriminazione che pesa sullo sviluppo economico del Paese, soprattutto sul suo tessuto sociale, in preda a tensioni tra i generi che spesso si riversano nella violenza.
La Banca D’Italia ha preso in esame alcuni dati relativi al 2008. Le donne si trovano in condizione di disparità rispetto agli uomini, non solo perché pressate dagli impegni familiari, ma anche perché sono spesso relegate in posizioni lavorative di basso livello di retribuzione. Il Mezzogiorno, dove già il tasso di occupazione femminile è molto basso, ha assorbito quasi metà del calo nazionale delle occupate causato dalla crisi. Nel 2009 in Italia soltanto il 28,7% delle donne con licenza media aveva un’occupazione, contro il 37,7% medio dell’UE. Nel nostro Paese solo le laureate “storiche” riescono a raggiungere i livelli europei, mentre le neolaureate continuano a trovare enormi difficoltà ad entrare nel mercato del lavoro.
La situazione peggiora per le donne sposate e con figli; inoltre il peggioramento delle condizioni del mercato del lavoro ha rallentato l’inserimento delle donne nelle professioni più qualificate e riavviato un fenomeno di “marginalizzazione” verso occupazioni già relativamente molto “femminilizzate”. I dati dell’OECD mostrano come l’Italia sia uno dei Paesi peggiori per essere una donna lavoratrice. I dati dell’ISTAT e dell’INAIL, che rivelano un aumento della partecipazione nel mercato del lavoro, mettono in evidenza anche un dato incontrovertibile: una donna su due non lavora. Sono 2,3 milioni le donne che risultano inattive per motivi di famiglia, di queste il 40% ha un diploma di scuola superiore o un titolo universitario, il 45% vive al Sud. Dati che spiegano come le donne, malgrado una preparazione adeguata, siano scartate per ruoli di rilievo: su di esse ricadono le inadempienze delle Stato e devono occuparsi della casa e della famiglia.
La condizione della donna nel mondo del lavoro