Dopo una negoziazione che si è protratta per 25 anni, il 9 dicembre scorso è stato siglato il nuovo accordo tra l’Unione Europea e il Mercosur il “Mercado Común del Sur” che indica l’organizzazione sudamericana, istituita nel 1991, che ha creato una zona di libero scambio tra Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay.
Il Mercosur è caratterizzato da un forte differenziazione di peso economico tra le nazioni partecipanti. Il Brasile detiene circa il 77% del PIL dell’organizzazione, mentre l’Argentina il 20%, l’Uruguay il 2% e il Paraguay l’1%. Gli altri paesi associati dell’America latina sono il Cile, la Colombia, l’Ecuador e il Perù.
L’accordo prevede l’abbattimento delle barriere commerciali e la liberalizzazione degli scambi, con l’azzeramento graduale dei dazi da e verso l’America Latina: dalla carne bovina al pollame, dallo zucchero al riso alla frutta tropicale verso l’Europa. Dai prodotti industriali (automobili, macchinari, subfornitura) e agroalimentari (vini, liquori, oli, formaggi ecc.), oltre a beni di abbigliamento, in pelle e tessuti verso i Paesi sudamericani.
L’interscambio globale tra Unione Europea e Mercosur è stimato ad oltre 45 miliardi di euro.
Se l’intesa si limiterà ai soli aspetti commerciali potrà essere approvata dal parlamento europeo senza ratifiche nazionali. Altrimenti sarà necessaria la ratifica da parte di tutti e 27 i paesi dell’Unione.
Attualmente esistono profondi contrasti sull’approvazione dell’intesa tra i partner europei. Contrari Polonia, Irlanda, Austria e la Francia che difendono, a dir loro, il settore agricolo dalla concorrenza sleale dei paesi sudamericani. Considerando le dimensioni delle aziende agricole e le produzioni estensive in Sud America, queste rappresentano una forte minaccia per gli agricoltori nazionali. Inoltre, i controlli e gli standard sanitari e ambientali sono meno rigidi e i costi della manodopera sono più bassi.
Anche l’Italia esprime forti dubbi sull’accordo in particolare sulle differenze degli standard produttivi, sui controlli e sulla tutela delle indicazioni geografiche protette contro le produzioni ‘‘Italian sounding’’.
A favore Germania in primis, desiderosa di trovare nuovi sbocchi commerciali per rilanciare il settore industriale in profonda crisi e poi Spagna, Svezia e Paesi Baltici.